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Viviani
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LA VITA E LE OPERE
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- “Don Giovanni Scardino” in Leggiamo la commedia (1926).
- Scena del terzo atto di Festa di Montevergine (edizione del 1934). Con Viviani, Fortezza e Luisella.
- All’assegnazione del Nobel a Luigi Pirandello; fra loro, Marta Abba. |
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Raffaele Viviani nacque da Raffaele e da Teresa Sansone a Castellammare di Stabia il 9 gennaio del 1888. Suo padre era
vestiarista teatrale, e gestiva in paese un locale estivo: l’ “Arena Margherita”. Il debutto di Papiluccio avvenne a quattro anni e mezzo, a Napoli, dove Raffaele si trasferì con la famigliuola (aveva altri due
figli, maggiori del Nostro: Vincenzo e Luisella); ed avvenne in circostanze straordinarie. Raffaele dava in fitto i costumi al suo amico e socio Aniello Scarpati, impresario del “Nuovo San Carlino” al Largo
delle Pigne: un localuccio dove alle rappresentazioni dell’ “Opera dei pupi” si alternavano “numeri” di varietà. Una sera venne a mancare al programma un certo Trengi, tenore e comico, e Papiluccio lo sostituì,
indossando il fracchettino d’un pupo, aggiustatogli addosso da sua madre. L’anno dopo (1893) Raffaele costruì un suo teatro, il “Masaniello”, nei pressi di Porta Capuana; e Papiluccio debuttò in prosa in un
dramma intitolato appunto Masaniello, dovuto ad un tal Quadretti. Nel 1895 egli cominciò ad eseguire canzoncine da solo e duetti con sua sorella Luisella in un secondo teatro “Masaniello”, anche questo di
gestione paterna, ch’era sito in via Marina. Tre anni dopo, il vecchio Raffaele Viviani costruì un terzo teatro “Masaniello” al Corso Garibaldi: teatro che divenne un centro popolare assai vivo, proprio in quel
tempo ed in quel luogo in cui, nell’estate, dovevano scoppiare i famosi moti operai del ‘98. Nel 1900, diventato orfano di padre, Papiluccio e Luisella furono costretti a lavorare per dura necessità. Comincia il
periodo più spietato nella vita del Nostro. Nel 1904 a quattordici anni è scritturato in un Circo equestre ed interpreta il famoso “contrasto” settecentesco “La canzone di Zeza”. L’anno dopo riesce a debuttare
al Teatro Petrella a Basso Porto, dove ottiene uno straordinario successo ne Lo scugnizzo di Capurro e Buongiovanni. Successivamente è all’ “Arena Olimpia ” alla Ferrovia; e qui crea con “Fifì Rino ” la sua
prima canzoncina comica, versi e musica. L’esito ottenuto lo spinge a perseverare; diventa poeta e musicista come era diventato istruito: tutta forza di volontà. Nell’inverno di quello stesso anno ritenta una
nuova tournée in “Alta Italia” (la prima, tentata nel 1904, s’era conclusa a Civitavecchia, dove, rimasto affamato sulla “piazza”, era stato tratto in arresto, prima di poter essere “rimpatriato” dalla
Questura). Viene scritturato dalla Compagnia di varietà di Bova e Camerlingo e parte per Milano, in un carrozzone da circo equestre. Nel 1907 è a Malta; nel 1908 riesce a debuttare all’“Eden” di Napoli, uno dei
maggiori “varietà” cittadini, ed il suo “genere” realistico impressiona. Nell’estate dello stesso anno è al Teatro Nuovo e quindi a Roma, al Teatro Jovinelli, con Petrolini. Qui interpreta tre film in costume:
uno dei quali, “Amore selvaggio”, avendo ad antagonista Giovanni Grasso. Tre anni dopo è a Budapest, dove crea le sue pantomime di sapore avanguardistico; e di là, tornato in Italia, conquista i maggiori
pubblici di “varietà” della Penisola con il suo “numero” originale. A Roma lo scopre Tommaso Salvini; e Mario Corsi sulla “Tribuna” gli dedica un saggio critico in terza pagina. Nel 1912 sposa Maria Di Maio,
nipote di Gaetano Gesualdi, e cioè del reale “creatore” del “Teatro d’Arte Napoletana”. Ormai è un artista celebre, al punto da contendere a Petrolini persino il successo alla “Sala Umberto” di Roma, nella
stagione del 1914, in una straordinaria rassegna di tutto il Varietà Italiano.
Nel 1917 fu a Parigi, ma non interessò. Al ritorno in Italia, a causa della disfatta di Caporetto, ed essendo venuto l’ordine
governativo di chiusura dei “varietà”, organizzò una compagnia di prosa e musica e debuttò al Teatro Umberto di Napoli con l’atto unico “‘O vico”. Cominciò da qui per Raffaele Viviani un’attività febbrile: in
pochissimo tempo scriveva versi, prosa e musica - metteva in iscena e recitava, pretendendo ed ottenendo da attori completamente “nuovi” una recitazione a memoria. E’ ammirato da Eduardo Scarpetta, Roberto
Bracco, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo; Gemito vagheggia su di lui un ritratto, che eseguirà nel 1926, così Saverio Gatto, Luca Postiglione, Ezechiele Guardascione (l’ultimo a dipingere i tratti sarà Luigi
Crisconio nel 1947). Egli rimase all’“Umberto” nella stagione del 1918, ’19 e ‘20: quindi cominciò a “girare” per i teatri della Penisola. Nel 1921, i suoi primi comici lo abbandonarono e Viviani, in pochi
giorni li sostituì, ottenendo ancora più successo. Agli “atti unici” aveva aggiunto lavori in due atti ed anche in tre. Fu a Tripoli nel 1925; e, quattro anni dopo, si recò nell’America Latina (Argentina,
Uruguay, Brasile) dove dimorò circa un anno ottenendo memorabili successi. Al ritorno in Italia fu interprete del “Cerchio della morte” di Cavacchioli al “Lirico” di Milano e, due anni dopo, fu protagonista de
“La tavola dei poveri”: un film da lui stesso tratto da una sua commedia, allora appena abbozzata per la regia di Alessandro Blasetti. Gino Rocca, nel 1934, lo chiamò a Venezia, interprete del personaggio di Don
Marzio, nella “Bottega del caffè” di Carlo Goldoni, data in Campo San Luca. L’anno dopo fu a Tunisi; nel 1936 fu il protagonista del “Malato immaginario” di Molière ed a Torino, città particolarmente
“vivianesca”, conobbe tramite Tatiana Pavlova, sua grande e fedele amica, Nemirovic Dàncenco, fondatore del Teatro di Stato di Mosca, che lo avrebbe voluto per una “stagione” in Russia. Sono gli anni più duri di
Raffaele Viviani, quelli che precedono la seconda guerra mondiale. La lotta al dialetto, voluta dal regime di allora, fa sì che la Direzione dello Spettacolo gli neghi i teatri. A questo s’aggiunga la funzione
di copertura del “ trust ” delle sale di spettacolo perseguita dalla sedicente “U.N.A.T.”; la quale dà addirittura l’ostracismo a Viviani che però eroicamente resiste e combatte, continuando a scrivere ed a
recitare.
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“Fa” un film: “L’ultimo scugnizzo” per la regia di Righelli; nel 1940 recita in “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta e in
“Chicchignola” di Petrolini; e l’anno dopo fa conoscere Antonio Petito, interpretandone una commedia ed indossando egli stesso il camiciotto bianco di “Pulcinella”. Fermatosi a Napoli, nella stagione del 1942,
recita tre mesi, ininterrottamente, al Teatro delle Palme, noncurante delle incursioni aeree che sconvolgono la città. Qui interpreta una “novità” di Pirandello: “Bella vita” (la sua terza interpretazione
dell’Agrigentino dopo “La patente” e “Pensaci Giacomino”). E intanto collabora alla sceneggiatura del suo dramma “I pescatori”: film che non riesce ad interpretare perché una crisi fisica glielo impedisce. Si
riprende a stento dal male che lo mina e, dopo la “liberazione”, torna per un breve periodo alle scene nel 1945, chiudendo definitivamente la sua carriera nel giorno di Pentecoste di quell’anno con “‘O vico”: il
suo primo lavoro. Da allora, chiuso nella sua casa al corso Vittorio Emanuele, scrive con la collaborazione del figlio Vittorio “I dieci Comandamenti”, riordina le sue “Poesie” edite ed inedite, la sua
“Autobiografia” e tenta ancora due commedie rimaste incompiute: “Cavalli ed asini” e “Trovare un posto”. Muore il 22 marzo 1950.
Tralasciando i titoli di duecentoventi componimenti scenici, (prosa, versi e musica) scritti quando Raffaele Viviani era
artista di varietà (e cioè dal 1906 al 1917) e pressoché inediti, tranne “L’abitué dei concerti” edita dal Bideri e i canti contenuti in quattro fascicoletti editi dal Gennarelli nel 1917, diamo qui i titoli
della sua completa opera di scrittore teatrale.
“‘O vico” (Il vicolo), 1917; “Tuledo ‘e notte” (via Toledo di notte), 1918; “‘O bbuvero ‘e Sant’Antuono” (Borgo
Sant’Antonio), 1918; “Scugnizzo” (Via Partenope), 1918; “‘Nterr’ ‘a Mmaculatella” (Scalo Marittimo), 1918; Porta Capuana, 1918; Piazza Municipio, 1918; ‘A cantina ‘e copp”o Campo (Osteria di campagna), 1918;
Caffè di notte e giorno, 1919; Marina di Sorrento, 1919; Eden Teatro, 1919; Lo sposalizio (coll. G. Pisano), 1919; Santa Lucia nova, 1919; Festa di Piedigrotta, 1919; Caserta Benevento Foggia (coli. C. Mauro),
1919; Campagna napoletana, 1919; La bohème di Viviani (La bohème dei comici), 1920; Il cantastorie (coli. A. Castagliola e R. Chiurazzi), 1920; Circo equestre Sguegila, 1921; Fatto di cronaca, 1922; Don
Giacinto, 1923; Pescatori, 1924; Figliata, 1924; Novantanove lupi (coll. O. Castellino), 1925; Quello che il pubblico non sa (coli. M. Corsi e M. Salvini), 1925; Tre amici, un soldo, 1926; Pezzecaglie (colI. F.
Paolieri), 1926; Zingari, 1926; Fuori l’autore, 1926; Napoli in frack, 1926; La festa di Montevergine, 1927; La musica dei ciechi, 1927; Vetturini da nolo, 1927; Quando Napoli era Napoli (coll. D. Petriccione e
S. Ragosta), 1927; Putiferio, 1928; Monte di Carnevale, 1928; Le ragazze restano per noi (Nullatenenti), 1928; Don Mario Augurio, 1930; Mastro di forgia, 1931; Guappo di cartone, 1932; L ‘ultimo scugnizzo, 1932;
L ‘imbroglione onesto, 1932; / vecchi di San Gennaro, 1933; L’ombra di Pulcinella, 1933; Lanterna cieca, 1934; Mestiere di padre, 1935; Sartoria Romano (coli. C. Mauro), 1935; ll malato immortale (coll. Vittorio
Viviani), 1936; Quel tipaccio di Alfonso, 1936; Socrate secondo (coll. Pio De Flaviis), 1937; Il pazzo sono io! (coll. 5. Ragosta), 1937; Padrone di barche, 1937; A vele gonfie, 1938; La commedia della vita,
1940; Siamo tutti fratelli, 1941; Muratori, 1942; La tavola dei poveri (coli. Vittorio Viviani), 1946; I dieci Comandamenti (coll. Vittorio Viviani), 1947; Cavalli ed asini (incompiuta); Trovare un posto
(incompiuta). Ha pubblicato: “Dalla vita alle scene” (Cappelli, Bologna, 1928); “La festa di Montevergine” (Rivista di commedie, Milano, 1930); “Tavolozza” (Poesie. Mondadori, Milano, 1931); “‘O fatto ‘e
cronaca” (Guida, Napoli, 1934); “L’imbroglione onesto” (“Il Dramma”, Torino, 1937); “Mestiere di padre” (“il Dramma”, Torino, 1939); “E c’è la vita” (Poesie. Rispoli, Napoli, 1940); “LaTavola dei poveri”
(“Sipario”, Milano, 1955); “I pescatori” (“Teatro d’oggi”, Roma, 1954); “La musica dei ciechi” (“Maschere”, Roma, 1956). Una raccolta di “Poesie” è stata pubblicata a cura di Vasco Pratolini e di Paolo Ricci
(Vallecchi, Firenze, 1956). L’edizione del “Teatro di Viviani ad opera dell’Ilte è del 1968 - “Tutto il Teatro di Viviani” è stato pubblicato da Guida Editori nel 1987.
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