Trailer
Napoli Hotel Excelsior

scene I costumi I locandina I testo I i vostri commenti Lo Spettacolo

IL VIVIANI DI “NAPOLI HOTEL EXCELSIOR” di Tato Russo

Di Viviani prediligo l’atto unico. La “zampata”. La graffiata improvvisa. Lui, il poeta gatto, non ama le complicanze in tre atti. Mette poco a disegnare un mondo. Trenta minuti per un capolavoro del teatro di tutti i tempi qual’è la grande “Musica”. Lui, l’aristocratico passeggiatore notturno, cannocchiale della miseria della città in cui vive, ci conduce con la sua macchina da presa a far da osservatori di cose e di mondi quotidiani e lui, il poeta, li commenta con voce da finissimo doppiatore. “Inquadratura” è il punto di vista. E lui, il gran regista, con una sola inquadratura ha detto tutto. E il “taglio” della vita, il punto di vista sull’esistenza, lo sguardo attento alle miserie del mondo. “Via Partenope” mi ha interessato per questo, per il fatto di fornire un punto di vista, un’inquadratura fissa e determinante della città. Lui, l’eterno scugnizzo, l’intellettuale separato, che osserva una società in piena decadenza, sotto vetro, che fa fatica a coprire della sua nobile facciata esteriore il sudiciume degli interni, la sporcizia delle vetrate, untuose quando la luce proviene dal di dentro a mostrar vizi e categorie di un mondo che caracolla su se stesso inarrestabilmente. Ed ecco l’eccesso della deformazione caricaturale alla quale mi ha condotto la scelta di questo grande contenitore di sguardi. L’Hotel Excelsior, immaginario luogo di favole, desiderato e impenetrabile, mondo di sogni inaccessibili, contro il quale si infrangono i sogni degli esclusi, dei tanti scugnizzi che moltiplicano le loro tragiche storia al di là del Grande Vetro. Un grande Fuori e un immaginario Dentro. E l’assurdo incrociarsi di queste due città impossibili, eternamente conviventi che eternamente si toccano e mai si sfiorano, che quando lo fanno conducono solo alla tragedia della contaminazione. Questa balorda e caratteristica promiscuità che disvela da una parte un’infinita galleria di caratteri tragici, di diversi, di miserabili, e dall’altra i tipi dì una classe ormai reclinata su se stessa, del tutto improduttiva e ritratta nel suo definitivo progetto di decadenza. Questa la storia di una grande pescata, di una grande Attesa, con personaggi che aspettano ognuno qualcosa in una lunga notte che chissà quando e se finirà. E le due città viste dall’Eterno Scugnizzo appaiono entrambe rallentate nello spazio e nel tempo e sembra venire a gravare sull’altra in forma di assioma finale e morale, ecco dall’altra spuntare un anelito di vita e di speranza come puro atto rivoluzionario.

“A durmì nterra songo abituato.
Sò no guaglione, però si pure dormo sto sempe scetato”.